IL RACCONTO DI GINO

Gino Boldini ha vissuto con intensità e partecipazione, in presa diretta, il dramma della seconda guerra mondiale e le traversie della lotta di Liberazione. Tornato fortunosamente in Valsaviore dalla Jugoslavia dopo lo sconvolgimento dell’8 settembre, unisce il suo destino a quello di decine e decine di giovani, camuni e non, che sulle montagne trovarono la forza di resistere alle offensive dei fascisti e dei tedeschi. La parte più generosa della popolazione fornì loro un indispensabile sostegno logistico, grazie al quale si riuscì in più occasioni a sfuggire ai rastrellamenti e a superare gli inevitabili momenti di sconforto. Ma non si deve dimenticare – per aver chiare le difficoltà da sormontare – che vi era anche chi cooperava con nazisti e collaborazionisti, con spiate o con il sostegno al governo di Salò.

Il retroterra familiare e amicale di Saviore e di Cevo, di Fresine e di Valle ha rappresentato per Gino una rete protettiva di prim’ordine, anche se nulla era sicuro, soprattutto a causa dell’insidiosa azione di delatori che potevano provocare seri danni, come in effetti accadde in talune situazioni, incluse le dinamiche che determinarono l’uccisione di Bortolo Belotti, il primo partigiano caduto in Valsaviore, dal quale prese nome la 54a Brigata “Garibaldi”.

Poiché Gino aveva svolto il servizio militare nei carabinieri, si occupò in Brigata, dell’ordine pubblico, in circostanze di eccezionale gravità. A differenza di altri suoi compagni, spinti dalla giovane età a valutazioni talvolta irruente e arrischiate, egli – d’indole tranquilla e riflessiva – svolse una funzione di moderazione degli eccessi, esercitando una positiva influenza in tempi che di per sé inducevano a scelte estreme e risolutive.

Il retroterra familiare e la perfetta conoscenza dei luoghi rappresentarono due fattori decisivi nella vita di Gino, aiutandolo a superare in modo relativamente indenne la tempesta bellica. Il carattere aperto e la capacità di stabilire con i suoi interlocutori un rapporto diretto e franco sono un importante aspetto della sua personalità. Durante la clandestinità ebbe la fortuna di incontrare Vittorina, segretaria e staffetta della 54a Brigata Garibaldi, trovando in quel rapporto un ulteriore elemento di forza.

Gino Boldini è passato attraverso la seconda guerra mondiale e la Resistenza con il suo carico di valori, concretezza, esperienze. Egli testimonia quel fenomeno di “umanità dentro la guerra” sul quale solo di recente si è avviata una riflessione, per recuperare momenti e personaggi di rilievo, impegnati in circostanze avverse ad alimentare la fiammella della convivenza civile e della socialità (si veda in proposito l’autobiografia di Ferdinando Pascolo – nome partigiano “Silla” – Che strano ragazzo).

Tra i reduci del partigianato garibaldino camuno, uno in particolare affiancherei a Gino Boldini sul piano della sensibilità e della dedizione alla causa della libertà, in un orizzonte pacifista e di grande rispetto verso gli altri: Ottorino Vecchia, capostazione a Forno Allione e prezioso collaboratore della 54a Brigata sul piano informativo e in alcune azioni di sabotaggio organizzate al fondovalle. Lo conobbi – insieme al malonnese Teofilo Bertoli – una quarantina di anni fa, quando iniziavo ad occuparmi di storia locale, e rimasi profondamente impressionato di quell’uomo mite, che era giunto attraverso un coerente itinerario esistenziale ad una visione pacifista e impersonava quei presupposti di tolleranza e di idealità che costituiscono il lascito più significativo della Resistenza.

Nel secondo dopoguerra Boldini, Bertoli e Vecchia hanno evitato la trappola del reducismo e della retorica, che ha purtroppo ingabbiato tanti ex partigiani i quali, superata la mezza età, si sono cristallizzati nella dimensione di custodi dell’ortodossia resistenziale, con esiti spesso deludenti, anche in termini di trasmissione dei valori alle nuove generazioni. Nessuna imbalsamazione della Resistenza, e nemmeno stucchevoli visioni retoriche, nei ricordi e nei racconti di Gino, di Teofilo e di Ottorino, ma una mescolanza di realismo e di idealità, con la capacità di rivivere e restituire luci ed ombre di un periodo che essi – proprio perché lo vissero intensamente – non augurano ritorni con quel carico di lutti, di divisioni tra italiani, di pesante occupazione straniera… E per non farlo tornare, servono narrazioni veritiere e non certo versioni banalmente semplificate e talvolta persino fiabesche, che si leggono in non pochi scritti sulla Resistenza bresciana e camuna. La lucida memoria di Gino Boldini rievoca a decenni di distanza tanti suoi compagni d’arme: dal comandante Nino Parisi ai componenti del distaccamento di Pezzo, in alta Valcamonica, comandato dal colonnello Raffaele Menici e dal suo collaboratore Firmo Ballardini: una formazione spazzata via dalla tenaglia stretta nella “tregua d’armi” stabilitasi nella zona di Edolo-Pontedilegno-Aprica tra Fiamme Verdi e tedeschi (di cui mi sono occupato nella monografia Un dramma partigiano e nell’e-book Fuoco amico, edito lo scorso anno dal “Corriere della Sera”).

Oltre quarant’anni fa ho avuto la fortuna di conoscere Gino Boldini e sua moglie Vittorina, divenendone subito amico fraterno. La marea dei ricordi ripresenta lunghe conversazioni nella loro casa a nord di Saviore, oppure nella baita del Gus, due luoghi che ebbero parte significativa nelle vicende ricostruite graficamente dalla storia a fumetti di seguito riprodotta. Insieme a Gino e Vittorina – talvolta con la loro figlia Carla e i miei figli Anita e Claudio – ho partecipato a incontri e commemorazioni a Ulda e Pla Lonc, a Cevo e Saviore… Occasioni in cui, superando la facciata dell’ufficialità e del cerimoniale, attorno a Gino si è sempre respirata l’aria vivificante dell’incontro intergenerazionale, l’immediatezza della condivisione di stati d’animo e aspirazioni per il futuro.

Questo opuscolo rappresenterà, per tanti piccoli lettori, lo stimolo a conoscere questo grande nonno, protagonista e testimone di vicende gigantesche e minuscole, esaltanti e tragiche, accadute nella nostra zona, in un’epoca carica di incognite, paure e speranze, nel periodo in cui si posero le premesse della ricostruzione democratica dell’Italia, le basi della Costituzione e le fondamenta della ripresa civile.

Non dobbiamo dimenticare che, anche grazie all’impegno e al sacrificio di giovani quali Gino e Vittorina, la nostra Patria risollevò la testa dopo una dittatura ventennale, ritrovando la solidarietà e la libertà. E con loro ricordiamo mestamente – con riconoscenza – quanti, dal giovane Bortolo Belotti al reduce della grande guerra Raffaele Menici, non videro l’alba della nuova Italia.

 

Prefazione a “Il racconto di Gino” di Mimmo Franzinelli

 

31