La tragica giornata del 3 luglio 1944

“La tragica giornata del 3 luglio 1944 rimarrà indelebile nella memoria di quanti ne furono testimoni e segnerà una delle pagine più desolanti della storia di CEVO.
A cose finite, quasi quasi vorremmo persuaderci di aver sognato, se la rovina di una buona metà del paese, scomparsa di case e persone care, non ci fossero continuamente davanti agli occhi e alla mente a ricordarci la realtà della travolgente valanga di fuoco e di terrore che si rovesciò quel giorno sulla quiete zona alpina.
Tra le tante cose degne di ricordare, mi fermo a rievocare la pietosa scomparsa del diciottenne GIOVANNI SCOLARI di TEODORO e di MONELLA MARGHERITA giovane conosciuto da tutti gli abitanti di CEVO per il suo carattere quieto e pio, incapace di fare del male a nessuno. [...]
Verso le due di quell’orribile pomeriggio, il Comandante delle F.F. R.R (forze repubblichine) venute a CEVO quella mattina, richiese l’assistenza sacerdotale per un condannato a morte…
Mi offersi spontaneamente per questa pietosa missione e partii subito verso la Colonia “FERRARI”, dove attendeva il condannato, inconsapevole ancora della sentenza capitale.
Aspettai alcuni minuti davanti alla Colonia in attesa delle disposizioni…
Dopo circa un quarto d’ora, mi venne fatto cenno di seguire un gruppo di soldati. Ubbidii e dopo dopo, sempre in mezzo a questo gruppo di soldati, circa venti armati, mi fu presentato il buon GIOVANNI con le mani legate.
Il tenente medico del gruppo ebbe la bontà di slegargli le mani e di lasciarlo pochi istanti insieme a me…là, sulla svolta della strada provinciale, poco sotto la Colonia “FERRARI”.
Feci presente a Giovanni la serietà dell’ora e delle circostanze, esortandolo a confidare in DIO e a domandare perdono per le offese che gli avesse fatto durante la vita…
Ci venne dato l’ordine di andare avanti!
Camminando sulla strada in giù, GIOVANNI con voce debole debole mi chiese:
“E adesso che cosa mi faranno?”
“Ti manderanno in Paradiso” gli risposi, e soggiunsi “Pensa che tra pochi minuti sarai felice con GESU’, con la MADONNA, con gli ANGELI e con i SANTI in cielo”.
“Ma io non ho fatto male a nessuno” disse.
“Lo so” gli risposi, neanche GESU’ CRISTO non aveva fatto male a nessuno; anzi aveva fatto del bene a tutti, eppure lo hanno ucciso. Ed egli è morto in croce perdonando a tutti. Non vuoi essere simile a lui?”
Pensò un istante e poi si rassegnò alle disposizioni della volontà di DIO, imitando GESU’ anche nel perdono.
Intanto eravamo scesi sul prato sottostante la Colonia “FERRARI”, posto scelto per l’esecuzione della sentenza. Mi sembrava di accompagnare GESU’ al Calvario.
Mansueto come un agnello, ubbidiva ad ogni cenno del Ten. Medico. Si sedette sulla sedia preparategli, come GESU’ si era disteso sulla croce per esservi inchiodato; si lasciò legare le mani e i piedi all’infame sedile e confidando davvero in DIO, aspettava da Lui il premio eterno. Io gli stavo sempre vicino. Gli suggerii un’altra volta l’atto di costrizione per disporsi a ricevere con migliori disposizioni la Benedizione Papale con l’indulgenza plenaria “in articulos mortis” che gli assicurava il Paradiso subito. A questo punto fui testimonio di una scena che mi commosse e mi è tuttora impressa nella mente: GIOVANNI, calmo e rassegnato in volto, alzò gli occhi in alto verso il Cielo, come se lo vedesse quasi aperto per riceverne l’anima. Certamente avrebbe congiunto insieme anche le mani, se le corde non le avessero tenute legate alla sedia. Con voce chiara domandò nuovamente perdono a DIO di tutte le offese fattegli nella vita recitando la bella formula “O GESU’ d’amore acceso, non ti avessi mai offeso…”.
Gli ricordai di nuovo il Paradiso, dal quale lo separavano solo pochi istanti di tempo…e fui appena in tempo a proferire su di lui le parole della Benedizione Papale, quando il Comandante gridò: “Cappellano in disparte”. Mi scostai di alcuni metri.
Un secondo ordine del Comandante impose il fuoco dei fucili.
Si udì la scarica micidiale… e il caro GIOVANNI, colpito in pieno, ripiegava indietro la testa, senza che dalla sua bocca uscisse neppure un lamento di dolore. Mi avvicinai di nuovo a lui, lo benedissi e pregai il SIGNORE di accoglierne la bella anima in Cielo.
Dal cielo ora egli preghi per i suoi cari e li consoli dello immenso dolore che li ha colpiti, ricordando a tutti che siamo creati solo per salvarci l’anima e godere di DIO per tutta l’eternità”.
(Padre Rustia Giovanni S. J.)

Nelle immagini fotografiche la sedia sulla quale venne assassinato il giovane Giovanni, collocata presso il Museo della Resistenza di Valsaviore, quale oggetto emblematico a memoria perenne dell’accaduto.