“IL RACCONTO DI GIOVANNI”

bambino Giovanni, che cos’erano i lager? La realtà del lager si mostrò da subito in tutta la sua crudezza: il vestiario inadeguato, gli zoccoli di legno, gli interminabili appelli fuori al gelo, il freddo, il lavoro duro, la fame. Alcuni decidevano di sfidare le punizioni e la fucilazione per uscire dai reticolati, soprattutto la notte, per reperire qualche patata o rapa nei campi vicini al lager. Anche a distanza di molti anni non ho potuto dimenticare il sentimento di spersonalizzazione: spogliato di tutto, soggetto a continue umiliazioni dopo essere stato trasformato in un numero. Che cos’erano i lager? Erano i campi di concentramento di cui erano piene la Germania e le terre conquistate dai tedeschi. Erano come un grande paese fatto di baracche di legno putride e sporche.C’erano lager per lo sterminio di persone ritenute di razze inferiori, per gli oppositori politici, per chi doveva lavorare per sostenere lo sforzo bellico tedesco; i militari come me erano nei campi di lavoro, ebrei, handicappati e omosessuali nei campi di sterminio perché dovevano essere eliminati. Noi eravamo alloggiati in queste baracche con i letti a castello: un po’ di assi sotto e un po’ di assi sopra. Il pasto era all’aperto: un pezzo di pane secco, due patate e della brodaglia che noi chiamavamo “sbobba”…   Attorno a queste baracche c’erano diverse file di recinzioni di filo spinato intervallate da torrette con guardie e mitragliatrici puntare per terra pronte a sparare su chi avesse tentato la fuga; di notte c’erano i riflettori accesi che illuminavano ogni angolo del campo. Durante la guerra le luci venivano spente di notte ad eccezione delle luci dei lager. Dagli aerei che venivano a bombardare non si vedeva bene ciò che c’era sotto. I campi rischiavano di essere scambiati per delle fabbriche e quindi potevamo essere bombardati. Al centro del campo c’era un pennone su cui sventolava la bandiera tedesca a significare che lì comandavano loro e che noi eravamo loro prigionieri. Poi c’erano anche le baracche di punizione, una prigione nella prigione, dove per qualsiasi cosa si veniva buttati

bambina

Giovanni, in che lager ti hanno rinchiuso? A me toccò il campo di Wietzendorf. In questo campo, nella Germania nordoccidentale sul mar del Nord tra le città di Brema e Amburgo vicino al fiume Weser, erano rinchiuse 5.000 persone: ufficiali, militari di una certa età e militari più giovani. Ovviamente chi soffriva di più questa prigionia erano i giovani in quanto gli anziani erano abituati ormai ai sacrifici, alla guerra, al fronte, alle battaglie. Eravamo tutti Internati Militari Italiani (IMI) ammassati in baracche sporche e piene di insetti. IMI fu il nome ufficiale dato dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio dell’8 settembre. Noi eravamo militari e quindi dovevamo essere considerati prigionieri di guerra, ma stante le vicende politiche che avevano visto i tedeschi nostri alleati fino a qualche mese prima, dopo l’armistizio ci consideravano responsabili di tradimento e per questo dovevamo essere puniti. La vicenda armistizio era stata condotta in modo così maldestro e arruffato dal governo Badoglio che i militari italiani divennero da un giorno all’altro ostaggi nelle mani dei tedeschi e dei fascisti della RSI (Repubblica Sociale Italiana). Questi ultimi avevano il coraggio di venire nei lager a chiederci di ritornare in Italia e continuare la guerra a fianco dei tedeschi. Noi giovani non hanno fatto in tempo a mandarci al fronte, ma i tedeschi, che occupavano l’Italia, fecero in tempo a farci prigionieri per rivalersi su di noi. Finimmo nei lager per esserci rifiutati di continuare la guerra a fianco di Hitler e Mussolini. Tra la fine del ‘43 e i primi mesi del ‘44, l’avanzata sovietica aveva costretto i tedeschi a sgomberare lo «Strafraum» in Polonia, il campo di punizione per gli ufficiali italiani catturati dopo l’8 settembre 1943 per non aver aderito né alle «SS» tedesche né alla Repubblica sociale di Salò. L’amministrazione del Terzo Reich aveva pensato al lager di Wietzendorf ribattezzato pomposamente «Oflag 83». Vi aveva concentrato circa 5.000 ufficiali italiani con lo statuto di «banditi»: uno scalino più in su dei prigionieri politici e dei razziali, uno più in giù dei normali prigionieri di guerra.

 

Da “Il racconto di Giovanni” di Valerio Moncini

illustrazioni di Sabrina Valentini