72° ANNIVERSARIO DELL’INCENDIO DI CEVO

72° Anniversario dell’incendio di Cevo

03 Luglio 2016

La manifestazione ufficiale per ricordare l’anniversario dell’incendio di Cevo, per mano fascista, cade quest’anno proprio il 3 luglio come 72 anni fa.

L’ANPI di Valsaviore, il Museo della Resistenza di Valsaviore, Cgil Cisl Uil Vallecamonica Sebino Brescia insieme alle Federazioni dei Pensionati SPI, FNP, UILP, l’Unione dei Comuni della Valsaviore (Cevo, Berzo Demo, Cedegolo, Saviore dell’Adamello, Sellero); hanno organizzato per domenica 3 luglio 2016, la tradizionale manifestazione per ricordare la distruzione del paese:

“Il 3 Luglio si stavano preparando a Cevo i funerali del giovane Partigiano Luigi Monella della 54a Brigata Garibaldi, ucciso durante uno scontro a fuoco, avvenuto il 1°Luglio nei pressi della centrale di Isola, con il presidio militare fascista. Nella sparatoria caddero anche tre militi, due vengono feriti, gli altri si daranno alla fuga.

Il comando della GNR di Breno, ben informato da spie locali, organizza una rappresaglia che scatta il 3 Luglio. L’obiettivo è quello di assalire e annientare, una volta per tutte, i partigiani della 54a Brigata Garibaldi che, in massa, parteciperanno al funerale di Luigi Monella. I componenti la Brigata avevano trascorso la notte nel paese di Cevo per essere pronti, di buon mattino per la cerimonia funebre. Alle 6 antimeridiane, tre colonne fasciste salgono da Grevo, da Andrista e da Berzo-Monte, ma i Partigiani che comunque erano all’erta, collocati in luoghi ben conosciuti, ingaggiano uno scontro e riescono a fermare gli avversari ma, il numero e l’armamento nettamente superiori decidono la sorte dello scontro a favore delle forze fasciste che dopo due ore di combattimento riescono a entrare in paese dove mettono in azione lanciafiamme e bombe incendiarie.

Alcune camice nere, certamente bene informate, si dirigono a casa del giovane Luigi Monella, strappano bandiera tricolore e cospargono di benzina la bara, dando fuoco alla salma e alla casa. Altri iniziano a provocare nuovi lutti. Cadono sotto i colpi fascisti il barbiere Giacomo Monella, la contadina Giacomina Biondi, lo scalpellino Francesco Biondi, un ragazzo di 19 anni Cesare Monella si arrende ma viene vigliaccamente ammazzato, un altro ragazzo di 18 anni Giovanni Scolari catturato dopo essere stato legato su una sedia viene torturato per costringerlo a rivelare i nascondigli dei partigiani, non riuscendo nell’intento lo fucilano. Uno dei carnefici, con un calcio, fa rotolare il cadavere, ancora legato alla sedia, lungo una scarpata. Il corpo e la sedia scheggiata dalle pallottole verranno recuperati e dopo aver sepolto il giovane, la sedia verrà custodita gelosamente. Ora è conservata nel Museo della Resistenza della Valsaviore come reliquia/reperto a perenne ricordo della crudeltà fascista. La sesta vittima è Domenico Rodella di Saviore, un uomo di cinquant’anni, invalido della grande guerra, viene torturato e ucciso perché denunciato da una spia come favoreggiatore dei Partigiani. Il Paese di Cevo è quasi completamente distrutto, nell’incendio vengono danneggiate centocinquanta abitazioni e centinaia di cevesi rimasero senza tetto. Alcune case furono incendiate anche a Saviore e molte furono depredate …”. (Note liberamente tratte dal libro – la terza età della Resistenza – di Tullio Clementi e Luigi Mastaglia).

Il racconto della giornata

Alle ore 10 i partecipanti si ritrovano presso il Piazzale Belvedere, la banda al gran completo, alla testa del corteo e subito dietro il labari dei comuni, delle associazioni e le bandiere del sindacato. Dopo una breve sosta davanti al monumento ai caduti sul lavoro, il corteo prosegue per la deposizione della corona al monumento dei Caduti e successivamente una sosta per un omaggio floreale presso la Piazzetta della Memoria che ricorda gli internati ed i caduti nei campi di concentramento. Verrà deposto un omaggio floreale anche nella Piazza Alpini, sulla lapide che ricorda i caduti di questo corpo glorioso.

Il corteo, molto partecipato, si ferma in Pineta, dove dopo l’Inno Nazionale magistralmente interpretato dalla Banda musicale, il sindaco di Cevo insieme al Partigiano Virginio Boldini e Rosi Romelli (la Partigiana più giovane d’Italia), depongono una corona al Monumento della Resistenza. La banda musicale suona “Bella Ciao”, mentre anche gli altri sindaci presenti e l’oratore ufficiale Savino Pezzotta rendono omaggio ai caduti della Resistenza.

Prende la parola, per il saluto del sindaco di Cevo, Silvio Marcello Citroni.

Buongiorno a tutti, chiedo gentilmente tutti i presenti di rispettare un minuto di silenzio in ricordo delle vittime della strage in Bangladesh. Grazie. Benvenuti a tutti e grazie di essere qui anche quest’anno, come sempre sono orgoglioso di potervi rivolge il saluto dell’amministrazione che rappresento, di quelle dei comuni dell’Unione dei Comuni della Valsaviore, della cittadinanza e mio personale. In particolare, come sempre, un ringraziamento particolare va al nostro Sindacato, all’ANPI, al Museo della Resistenza, che hanno voluto e preparato questa manifestazione. Un grazie ai nostri Partigiani della 54ª Brigata Garibaldi, a Rosi Romelli e Gino Boldini che ci fanno onore con la loro presenza. Un grazie ai colleghi sindaci dell’Unione dei Comuni della Valsaviore che immancabilmente sono presenti a questa cerimonia, un grazie al Maresciallo Capo dei carabinieri della Stazione di Cevo, ai rappresentanti delle Fiamme Verdi, agli Alpini, alla immancabile generosità del mio gruppo della Protezione Civile che è sempre attento e partecipe alla organizzazione di queste manifestazioni, grazie alla Banda musicale ed alla sua disponibilità ad essere presente anche oggi. Ci onora oggi, con la sua presenza il collega Maurizio Bruno Sindaco di Francavilla Fontana (BR), paese originario dell’eroe Partigiano della 54ª Brigata Garibaldi, Donato Della Porta, assassinato da mano fascista, a Saviore in località Baulè il 9 dicembre 1944. Nel pomeriggio alle ore 15:00 nell’ambito dell’apertura della mostra di Artisti locali sulla Resistenza a cura del Museo della Resistenza, ci sarà la presentazione del libro “Sulle ali della memoria” a lui dedicato, scritto dall’autore Alessandro Rodia che ringrazio per la sua presenza. Di Savino Pezzotta, non serve presentazione, tutti sappiamo quanto sia importante e prestigiosa, oggi, la sua presenza a Cevo; voglio solo ricordare che è stato Segretario Generale della Cisl Nazionale dal 2000 al 2006 e Deputato della Repubblica dal 2008 al 2013. Di recente è stato in Valcamonica al convegno tenuto a Breno il 30 gennaio scorso dedicato ai “Dimenticati di Stato” (Internati Militari caduti nei Campi di concentramento Nazisti, sepolti nei cimiteri militari sparsi per l’Europa) assieme all’amico Roberto Zamboni.

Quest’anno il 3 luglio cade proprio di domenica di come oggi, a quest’ora, 72 anni fa, il paese bruciava e la tragedia di Cevo si stava consumando nel terrore, nel fuggi fuggi generale, nell’uccisione dei sei martiri di quel giorno. Come tutti gli anni Cevo ricorda quei fatti, quel dramma, a monito di quello che sicuramente, per la nostra Provincia, è stato il simbolo della repressione fascista e personalmente, scusate ma voglio dirlo, mi dà un poco fastidio che mentre qui si commemora un tragico evento, l’ANPI Provinciale stia facendo la festa provinciale della Resistenza. Lo trovo, per così dire, indelicato ed inopportuno. Non so cosa ne penserebbero i nostri Partigiani ma credo davvero che non ne sarebbero entusiasti.

“… senza distinzione di Sesso …” dall’Art. 3 della Costituzione, sono parole che hanno cambiato la vita delle donne, dei loro diritti, è la base giuridica delle “Pari Opportunità”. Quest’anno ricorre il 70º anniversario del voto alle donne e come non ricordare che il primo voto su scala nazionale, contribuì a sancire la nascita della Repubblica con il referendum del 2 giugno 1946. Quella del dopoguerra fu una conquista cruciale a lungo attesa per la quale le donne si erano battute per decenni, inascoltate. Le donne nella storia sono spesso assenti, di loro si tace anche quando hanno compiuto azioni straordinarie, perciò è importante per noi ricordarle. La Repubblica italiana nata nel dopoguerra non è stata fatta solo da uomini ammirevoli ma anche da donne coraggiose che non solo hanno partecipato alla Resistenza ma hanno contribuito a scrivere la Costituzione, insistendo perché si ricordasse e si sancissero il loro diritti. Nella storia Partigiana le donne hanno avuto un grande valore, partecipando attivamente alla Resistenza con un ruolo insostituibile, di staffette e di assistenza ai Partigiani di cui, noi di Valsaviore abbiamo esempi emblematici. Uno tra i tanti é quello della Partigiana più giovane d’Italia, la nostra Rosi Romelli che ha spopolato e incantato il pubblico presente, lo scorso 25 aprile presso la casa Cervi alla presenza del Presidente del Senato Pietro Grasso, credo che sia giusto un applauso da indirizzare alla nostra Rosi, che peraltro, infaticabilmente è sempre presente nelle scuole per raccontare, per trasmettere ai ragazzi delle nuove generazioni i valori della Resistenza. Oggi, voglio però ricordare, in modo particolare la nostra Enrichetta Comincioli che lo scorso 2 maggio ci ha lasciati, donna che ha davvero sofferto e provato il dramma dei lager nazisti che ne hanno segnato profondamente la sua esistenza e quella dei suoi familiari, a partire dalla figlia Rita. Ora Enrichetta riposa per sempre nella sua amata Cevo, credo sia doveroso un applauso anche per lei.

Quest’anno, dopo la consegna della medaglia della Liberazione conferita al Partigiano Gino Boldini, abbiamo avuto e condiviso l’onore della consegna della medaglia della Liberazione anche ai nostri due Partigiani tuttora viventi: Bazzana Tiberio e Casalini Bortolo, grazie davvero, credo che queste cose ci rendono orgogliosi e ci fanno sentire fieri di appartenere a questo territorio e alla sua storia.

Ieri sera, dopo i libri dedicati a Rosi Romelli e Enrichetta Comincioli, abbiamo presentato “Il racconto di Gino” frutto della sinergia tra il Museo della Resistenza, ANPI Vallecamonica e Circolo Culturale Ghislandi, un grazie particolare a chi ne ha curato la stesura: Valerio Moncini e lo ha illustrato Sabrina Valentini, e ovviamente un grazie e un applauso per il nostro Gino Boldini. Per il 2016 ne proporremmo sicuramente un altro anticipo che sarà su “Don Vottorio Bonomelli” nel centenario della sua nascita.

Concludo, invitandovi sin da ora tutti, e vi raccomando siate presenti all’inaugurazione del Museo della Resistenza che sicuramente e senza indugio, questa volta averrà il 25 aprile prossimo nel pomeriggio e quello sarà davvero un giorno di festa, la vera festa della Resistenza. Grazie a tutti, viva i Partigiani, viva la Resistenza, viva l’Italia.

Prende ora la parola il sindaco di Francavilla Fontana, Maurizio Bruno.

Sindaco Citroni, Colleghi, Savino Pezzotta, Partigiani, Cittadini, porto a tutti voi il mio personale saluto e un forte abbraccio dalla popolazione di Francavilla Fontana, che qui mi onoro di rappresentare. Quella che dal mio arrivo respiro in questa terra è un’aria che riempie i polmoni ma anche e soprattutto il cuore. Proprio ieri dopo aver ascoltato il racconto di Gino e parlato con Rosi e con molti di voi, mi sono sentito veramente a mio agio. Per noi sindaci, che viviamo insieme ai nostri concittadini un momento di difficoltà, è una responsabilità, non è facile, ma conoscere, sentir raccontare vicende della nostra storia recente, è fondamentale per proseguire l’esperienza di sindaci al servizio delle nostre comunità. Si respira ancora oggi aria di Resistenza e aria di Libertà. Quella Resistenza e quella Libertà che riempì la vita di migliaia di giovani che ebbero il coraggio di fare una scelta, che scelsero di non chinare la testa, di non arrendersi, scelsero di lottare per la propria dignità, quella dignità che qualcuno cercò di soffocare. Scelsero di lottare per la libertà propria e soprattutto per chi sarebbe venuto dopo. In queste valli, essi contribuirono a cambiare per sempre la storia del mondo, con il loro sacrificio pagato con anni di fatica e persino con la vita per seminare quei valori che sarebbero stati alla base di una nuova Europa senza conflitti, guerre fratricide per consolidare domìnii e potentati. Quei giovani, quegli uomini, quelle donne, sconfiggendo le dittature nazi fasciste, spalancarono le porte ad un’era di pace e di fraternità che non ha eguali. Col loro sangue gettarono il seme di un’Europa che per la prima volta, nella sua storia, decise di non ricorrere più alle armi contro i propri vicini, contro i propri fratelli, perché avevano deciso di creare qualcosa di nuovo, di realizzare il sogno di un’Europa unita disponibile alla cooperazione. Ultimamente si stanno rafforzando idee e sollecitazioni che tendono a frantumare quest’Europa, a edificare nuovi muri sui vecchi confini e ciò non può portare a nulla di buono se non rinfocolare contrasti. Oggi più che mai abbiamo l’obbligo di ricordare e di onorare i nostri partigiani, coloro che hanno pagato col sangue e la propria vita combattendo l’egoismo, il nazionalismo, l’odio e la violenza, la guerra e la divisione. Uomini e donne, quelle tante migliaia di uomini e donne che hanno perso la vita per donarci la libertà. Uomini come Donato Della Porta, mio concittadino, che in questa terra, per la pace e la libertà, ha sacrificato la sua unica esistenza. Aveva solo vent’anni Donato Della Porta quando fu ucciso lontano dalla sua casa. Aveva 20 anni e come i suoi coetanei crebbe con gli insegnamenti del fascismo, con la devozione a Mussolini, eppure nonostante una vita con questo orientamento, quando venne il momento di scegliere lo fece senza il minimo dubbio, non rimase con chi celebrava la morte ma si schierò con chi lottava per la Libertà e la vita. Donato Della Porta fu ucciso da un commando nazifascista il 12 dicembre 1944 in una baita di Baulé. Di lui per diversi anni fu persa la memoria anche nella sua città, una cosa imperdonabile alla quale, ora grazie anche a un lavoro straordinario di ricerca del nostro Alessandro Rodia, intendiamo rimediare. Grazie ad Alessandro per aver scritto il libro “Sulle Ali della Memoria” sulla vita del nostro eroe partigiano della 54ª brigata Garibaldi, Donato Della Porta. Lo ringrazio per averci offerto l’opportunità di conoscere ed apprezzare la vita di un uomo, un eroe della Libertà che ha sacrificato la sua vita per tutti noi e ringrazio voi che siete qui, che avete avuto la pazienza di ascoltare questo mio piccolo intervento, per quello che fate, perché ricordare il passato che l’unico modo che abbiamo per non ripetere nel futuro i tragici errori della storia. Grazie a voi, soprattutto per quello che ci avete insegnato e per quello che avete fatto. Mentre voi qui al Nord, combattevate per liberare la nostra Patria dal giogo nazifascista, al Sud noi combattevamo le lotte bracciantili, ed io sono orgoglioso di far parte di quella famiglia. Cerchiamo insieme di coltivare la memoria di chi ha sofferto e si è sacrificato per donarci la libertà e la pace. Grazie.

Grazie al sindaco Maurizio Bruno per il significativo intervento ed il ricordo del suo concittadino Partigiano Donato Della Porta combattente della 54ª Brigata Garibaldi, ucciso su queste montagne da un commando nazifascista. Ora per l’orazione ufficiale diamo la parola a Savino Pezzotta.

Ringrazio per l’onore che mi viene accordato nell’invitarmi a Cevo e chiedendomi di pronunciare qualche parola di commemorazione di un avvenimento tragico che nella sua drammaticità contemporaneamente svela una tragedia e un dolore e nel contempo fonda una speranza.

Nel preparami a venire qua, mi sono letto molte delle pagine che nel bel libro “La terza età della Resistenza” parlano di Cevo, della Resistenza e della lotta delle formazioni partigiane in Valle Camonica. Nel leggere più volte mi sono trovato a chiedermi da dove hanno tratto la forza e la volontà questi giovani (ricordiamo che la maggior parte di questi partigiani erano giovani) che erano cresciuti nella scuola fascistizzata a scegliere una mattina di “andare in montagna”, lasciare la loro casa, i loro affetti e mettere a disposizione la loro vita? quale era l’ideale che li spingeva?

Per comprendere quegli anni e quelle persone dobbiamo cercare con umiltà e passione di comprendere anzitutto le ragioni e i valori che li spingevano ad agire. Credo che sia stata la ricerca della libertà. Dopo aver vissuto per molti anni nella menzogna, sentivano dentro di sé il desiderio della verità, e questo portava ad aspirare alla libertà, alla possibilità di scegliere tra ciò che è giusto poter fare e ciò che è falso perché ti viene imposto. C’è un nesso indissolubile tra verità e libertà che non si rompe mai e che è ciò che ha piegato e sconfitto i totalitarismi che con la menzogna hanno cercato di corrompere il cuore e la mente delle persone.

Mi sono convinto che nell’area della montagna prealpina bresciana e bergamasca il fascismo non sia mai penetrato nel sentire delle popolazioni. Se il regime ha avuto un consenso questo ha interessato le realtà urbane, mentre nelle nostre valli, magari in modo sotterraneo, ha continuato a vivere l’idea della libertà.

Non è un caso che per piegare la resistenza delle popolazioni si incendi un paese, si brucino le case. Per la nostra gente la casa, il paese sono parte della loro identità, sono il legame con gli antenati e l’eredità dei figli, è il paesaggio che guardiamo agni mattina e che segna il nostro abitare. Incendiare il paese significa minare questo legame identitario oltre che commettere un atto di inaudibile crudeltà.

Oggi è difficile fare discorsi sulla Resistenza, il più delle volte ci si affida alla retorica e che la ricerca dei valori che l’hanno animata non serva più. A volte ho l’impressione che il valore sociale e politico della Resistenza sia collocato nell’insieme delle categorie della nostra società dello spettacolo, tra il “passato di moda”, l’invecchiato e il datato.

Quando si discute di Resistenza in forma oppositiva vengono richiamati gli episodi di violenza come le foibe, o episodi di violenza perpetrati da partigiani. Non nego che vi siano stati episodi negativi e contraddizioni dentro il percorso di liberazione, quello che non è accettabile è che si utilizzino certi episodi o elementi negativi per una operazione che tende ad equiparare per poter negare.  Nella Resistenza si è usata la forza, ma è stata usata affinché si potesse mettere fine alla violenza utilizzata nel corso del ventennio per dominare, comandare e perseguitare attraverso forme istituzionalizzate, burocratizzate e strutturale.

Sappiamo e lo rintracciamo nella storia della resistenza e della guerra civile che si è svolta nelle nostre valli, come ogni uomo possa diventare un barbaro, un violento, soprattutto quando dimentica il valore di ogni vita. Può diventarlo se si trova inserito in un gruppo, in una ideologia, in una fazione che si auto-proclama la regione del bene, se si sente sgravato dalla responsabilità di dover scegliere e, soprattutto, se da una propaganda subdola è indotto a identificare il male, tutto il male, nel nemico, nella parte avversa. Quello che è avvenuto attraverso le due guerre mondiali e che incrina la stessa possibilità del futuro è stato l’aver portato la violenza all’estremo. Il cosiddetto nemico non deve essere solo sconfitto ma va annientato, si crea un nemico interno e si punta alla soluzione finale. I genocidi originano da questa idea della violenza portata all’estremo Questo atteggiamento idolatrico costituisce il fondamento della barbarie in quanto legittima il dispiegamento della violenza.

Se trent’anni fa ci avessero detto che l’islamismo fondamentalista avrebbe raccolto il testimone della Guerra Fredda, ci saremmo messi a ridere, eppure possiamo riscontrare come certe logiche siano molto radicate nel cuore dell’uomo

Sono convinto che oggi sia molto difficile fare memoria, presi come siamo dal presente, da problemi quotidiani che vanno dalla crisi del lavoro alla necessità introdotta dalla crisi economica di modificare i nostri stili di vita.

Eppure sono convinto che senza memoria non c’è futuro e credo che molti ripiegamenti sulla assolutizzazione del presente come unico tempo di vita siano dovuti proprio alla dimensione dell’oblio generalizzato.

Sappiamo che ogni momento cattura la storia in modo diverso, se ogni momento è responsabile di una specificità unica e insostituibile, allora il futuro è aperto e imprevedibile. Solo se recuperiamo la memoria del nostro passato siamo in grado di poter vedere “il tempo che viene” o, perlomeno, a far sì che nel veniente non si ripeta il male del passato.

Il mondo procede velocemente verso una nuova dimensione, si sta globalizzando, ma cambia così rapidamente che i figli non sempre riescono a capire i loro padri, i padri non capiscono il loro figli. Ci sono molti aspetti da questo processo: la tecnologia, come comunicare e anche la lingua che muta costantemente. Le speranze di chi ha fatto la resistenza e quelle delle generazioni immediatamente successive sembrano essere stati completamente cancellate. Penso che nella nostra società attuale sia venuta meno la speranza e il desiderio di una convivenza migliore e solidale: ognuno cerca di trarre dal presente quello che può.

Stiamo correndo il pericolo che si possano perdere i riferimenti ai valori della libertà e della democrazia. Nella nostra quotidianità avvertiamo che viviamo una fase di restringimento di questi riferimenti e che la democrazia attraversa una fase di crisi che è evidenziata dall’astensionismo elettorale e, soprattutto, da crescere della sfiducia verso la politica e le istituzioni.

La mia generazione che ha avuto la fortuna di ascoltare i protagonisti di quella stagione, di udire la vera voce dei testimoni e di aver sentito le narrazioni di quel tempo nelle nostre famiglie e, in modo particolare, nelle nostre vallate, ha oggi l’obbligo di dire come la resistenza e la lotta di liberazione siamo gli elementi costitutivi della nostra civiltà, umanità, della nostra idee di giustizia sociale e legale, della libertà e della democrazia italiana.

Dobbiamo dire alle giovani generazioni che chi combatté su queste montagne per la libertà, per scacciare dal nostro paese il regno della barbarie, erano giovani come loro.

Sono diciottenni e ventenni quelli che, attraverso le loro lettere di condannati a morte scritte prima di presentarsi con coraggio davanti al plotone di esecuzione, ci hanno consegnato un un’eredità fondata sugli ideali di giustizia, di libertà e di fraternità.

Come non ricordare qui i ragazzi della Rosa Bianca che, in Germania, ebbero la forza e il coraggio di opporsi ad Hitler e che per questo furono giustiziati, riscattando con la loro morte la dignità di un popolo e divenire un esempio ai giovani europei

Senza il loro sacrificio non ci sarebbe cittadinanza piena, attiva e responsabile, non ci sarebbe il valore di guardare con tenacia e spirito costruttivo al nostro domani.

La resistenza non è finita allora, anche oggi si esigono nuove resistenze.

La resistenza non può essere ridotta a memoria ma è rinnovare costantemente il ricordo, ovvero portare al cuore il concetto di comunità, di partecipazione, di responsabilità e di libertà, di diritti e doveri. La resistenza che è sempre possibile ripensare il patto civile che tiene insieme un popolo

La Resistenza oggi è essere genitori e cercare di insegnare ai propri figli che, nonostante tutto, valori della pace, della democrazia, dell’uguaglianza e della libertà restano fondamentali per una convivenza.

Resistenza significa che innanzi ai drammi sociali generati da una crisi che sembra non finire e che ci ha lascito senza un lavoro né una certezza economica, bisogna stringere i denti e continuare a lottare per una società più giusta.

La Resistenza è decidere di impegnarsi quando i molti si sottraggono.

Resistere è operare per un futuro decente in l’Italia e l’Europa, per noi e per quelli che la fame e la guerra spinge verso i nostri confini. L’arrivo dei migranti crea molti problemi e sarebbe sciocco non riconoscerli, ma essi sono per noi uno stimolo ad essere umani e a lavorare insieme per un mondo più giusto dove ad essere respinta è la guerra e la miseria. Non si può dire non abbiamo le risorse necessarie quando cresce la spesa per gli armamenti, quando per le guerre e per gli eserciti si spendono a livello risorse immense, o quando spediamo fior di miliardi per comprare nuovi caccia bombardieri, gli F35.

La Resistenza, oggi, è non giustificare l’evasione fiscale.

La Resistenza significa impegno contro la corruzione, volere la trasparenza e non accomodarsi sull’altare del compromesso, alla corte di chi ha il potere o che si presume vincitore. Sono molti coloro che invece di arricchire il carro delle idee e dei progetti per il bene comune, si siedono acriticamente sul carro del vincitore del momento.

Oggi come e più di ieri abbiamo bisogno di essere animati da uno spirito critico che ci aiuti nella ricerca del vero e del giusto

Resistere significa realizzarsi perché si conosce qualcosa e non qualcuno. La Resistenza è la vittoria del sentimento e della ragione, sul risentimento.

La crisi che stiamo attraversando non è solo economica anche se questa è quella che avvertiamo maggiormente, ma è crisi morale è la perdita del senso e del valore della memoria, sia a livello civile che personale.

Quattro sono a mio parere gli avvenimenti fondativi della storia della nostra nazione: la resistenza, la nascita della repubblica, la carta costituzionale e il progetto di costruzione dell’unità europea. Avvenimenti fondativi che benché distanti nel tempo sembrano oggi lontanissimi dal sentire di molti e, purtroppo, sempre meno significanti.

Addirittura avanza una tendenza a dimenticare e a rimuovere dalla memoria collettiva i sacrifici compiuti perché l’Italia fosse una ( res pubblica) repubblica.

Mi rendo conto che in questa che viene definita società post-moderna il tempo s’è accelerato e che il ritmo della nostra vita si è velocizzato. Le nuove tecnologia sono entrate dentro di noi e costruiscono una nuova immagine del mondo e del nostro abitare e con la loro pervasività segnano il ritmo e la consistenza delle nostre relazioni.

Uno dei concetti che abitudinariamente usiamo è “non ho tempo”. Non ho tempo per ascoltare i miei figli, mia moglie, i compaesani, gli amici, tanto siamo avvolti in questa ansia di non poter afferrare o fermare il tempo. Viviamo nell’istante e questo rende sempre più difficile il rapporto con il passato, anche con il passato prossimo. Viviamo costantemente nel presente e così nasce l’insignificanza del passato, che ha, ad esempio, gravi conseguenze sulla qualità di vita degli anziani, considerati portatori dell’esperienza del passato e quindi sempre più inutili. Una conseguenza di tutto questo sono le crescenti incomunicabilità tra le generazioni e dentro lo stesso mondo giovanile, data l’estrema rapidità con cui si consumano le esperienze. Cresce la difficoltà a pensare le vicende di oggi come una derivazione magari parziale dell’ieri.

Si è venuta affermando una concezione statica della storia. Si assiste oggi alla negazione di una concezione evolutiva, dinamica della storia, introdotta in occidente dall’ebraismo e dal cristianesimo, e alla ripresa di una visione ciclica o dell’eterno ritorno all’eguale. Mentre diventa importante continuare a mantenere una concezione evolutiva lineare della storia, in cui il passato alimenta il presente e lo spinge a proiettarsi verso un oltre, il futuro,

La lettura astorica della storia porta con sé l’insignificanza della memoria. Costretti a vivere un eterno presente non avvertiamo la necessità di rapportataci al passato e di aprire varchi verso il futuro.

L’irrilevanza della memoria provoca un disagio esistenziale profondo. In una prospettiva astorica non è possibile dare risposte alla domanda di senso. Come si possono progettare cammini se questo in cui viviamo è concepito come l’unica possibilità?

Proprio il venir meno della memoria, con il conseguente disagio esistenziale, lascia spazio alla tentazione di abbarbicarsi alle tradizioni del passato, ai “bei tempi antichi” a cui si vorrebbe tornare.

Un primo elemento per ricuperare la memoria è la riappropriazione del tempo nel suo dispiegarsi di passato, presente e futuro.

Poiché è il ritmo del tempo oggettivo che tende sempre più ad accelerare, occorre far leva sul tempo soggettivo, quello che la coscienza vive. Questo implica una rifondazione della coscienza soggettiva, una ridefinizione dell’identità soggettiva, una capacità di elaborare progetti flessibili, non totalizzanti e assolutizzati, e quindi in grado di cogliere le novità.

Identità e progettualità non sono definibili una volta per sempre. In questa prospettiva acquistano importanza i soggetti portatori di memoria, e si rende necessario un nuovo patto tra le generazioni.

Nel costruire la progettualità occorre non dare per scontato che non esistano più domande di senso, ma occorre fare emergere dalla frammentarietà della vita quotidiana.

La progettualità non è solo orientata al futuro, si fonda anche sul passato, sulle radici, che solo consente scelte fondamentali.

La vera lettura del passato è quella che coglie la continuità tra passato e presente per ricuperare il passato per quello che è, ma anche che è consapevole della parzialità del nostro approccio, della nostra precomprensione. Solo così è possibile ricuperare la memoria in maniera non mummificata, con la consapevolezza del limite.

La memoria ha una funzione creatrice di futuro, partendo dal futuro per leggere il passato, è la speranza verso il futuro che può consentire una lettura del presente e recuperare il passato.

Abbiamo bisogno di darci delle coordinate se non vogliamo precipitare in una dimensione di vuoto, per fare questo dobbiamo fare riferimento ad alcuni elementi di fondo:

  • Fare dell’umanesimo, della tolleranza, della democrazia e della convivialità l’orizzonte culturale che guida i nostri passi;
  • Per questo occorre creare in ogni luogo una piattaforma di dibattito aperta, in grado di rilanciare l’idea dell’Europa unita, superare il trauma inferto dall’uscita dall’Unione Europea del Regno Unito, puntare su una nuova Europa Federale, unica strada per portare avanti la reciprocità delle nazioni e delle culture e consolidare riconciliazione sia fra le nazioni europee che al loro interno e costruire una risposta al problema dei migranti;
  • affrontare con coraggio le pagine più scomode della storia nazionale;
  • fondare i giudizi sul passato esclusivamente sull’analisi dei fatti storici, rinunciando

alla nozione di “verità storica”.

Concludendo.

Per continuare a credere nei valori cui ho accennato, mi chiedo spesso:

Quanti hanno perduto la vita perché io abbia potuto vivere per oltre settanta anni nella libertà?

Quanti nei nostri territori, nelle nostre valli e montagne hanno compiuto il massimo sacrificio per la libertà?

Quanti dei giovani di allora hanno scelto di essere internati nei campi di concentramento e morirvi per non essere complici?

Quante donne si sono impegnate perché il progetto di libertà e di liberazione potesse essere attuato?

Quanto è costato alle nostre comunità sostenere la lotta e l’impegno?

Sono domande che meriterebbero risposte circostanziate. Oggi noi ricordiamo un evento tragico e drammatico, ma sappiamo che, pur nelle diverse espressioni politiche, ci sono state persone che hanno perso la vita per un ideale nobile: intellettuali, operai, professionisti, sacerdoti, contadini, tanta gente che ha creduto di combattere per un’Italia migliore.

Noi dobbiamo essere loro grati e cercare di non tradire i loro ideali.

Romano Guardini sacerdote e uno dei maggiori intellettuali europei del secolo scorso, concludendo la commemorazione del sacrificio dei ragazzi della “Rosa bianca”, cui era stato chiamato perché in nessun modo si era compromesso con il regime nazista, ebbe a dire e vale come monito anche per noi oggi: “L’onore che tributiamo a questi uomini che hanno dato la loro vita per la libertà, resterà un semplice gesto, se non tentiamo di capire dove si gioca per noi l’istanza di un’eguale libertà, e se non siamo pronti a portarla a compimento”.

Cevo 03 07 2016 – Registrazione e trascrizione a cura di Luigi MastagliaIMG_1735